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Le stragi commesse con armi, legalmente detenute, suscitano l’interrogativo sull’efficacia della normativa per prevenirle.
Fatti tragici e sconvolgenti per l’opinione pubblica, quando siano commessi con armi da fuoco da soggetti in possesso di autorizzazioni di polizia, richiamano l’attenzione morbosa dei mass-media, influenzando, nel contempo, il legislatore che è solito adottare soluzioni d’emergenza, non strutturali e quindi di scarsa efficacia.
In merito non bisogna lasciarsi influenzare da facili soluzioni, come quella proposta con la stereotipata formula vietiamo la possibilità di detenere le armi. Quest’ultima non trova nessun riscontro positivo nella realtà dei fatti.
L’equazione meno armi in circolazione, meno delitti, non rispecchia la realtà dei fatti, tenuto anche conto che, in questi ultimi tempi, per compiere stragi e omicidi, anche in ambito familiare, non sono state usate armi da fuoco, ma strumenti di uso quotidiano, come coltelli da cucina e martelli.
Il primo tentativo di normare l’attività di prevenzione sulla detenzione di armi risale al 1926.
Infatti, con l’approvazione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nonostante la possibilità di acquisto di armi da fuoco con la sola carta di identità, fu stabilito, genericamente, che è vietato vendere armi a persone non sane di mente. Il divieto non vigeva per le cessioni tra privati.
Tale verifica non si basava sulla presentazione di un certificato medico di idoneità psico-fisica, ma era demandata unicamente all’armiere, al momento dell’acquisto, responsabilizzandolo su un accertamento che certamente non poteva rientrare nelle sue capacità e competenze.
Con il TULPS del 1931, pur mantenendo invariata la libera vendita di armi, previa presentazione della sola carta di identità, si ritenne necessario di dover ridimensionare la responsabilità dell’armiere. Infatti, fu confermato il divieto di vendere armi a persone affette da malattie di mente, precisando, però, che dovevano apparire tali.
Ma, con l’articolo 153 dello stesso testo unico, venne fatto un ulteriore passo in avanti per il controllo dei malati di mente, stabilendo che gli esercenti una professione sanitaria sono obbligati a denunziare all’autorità locale di pubblica sicurezza, entro due giorni, le persone da loro assistite o esaminate che siano affette da malattia di mente o da grave infermità psichica, le quali dimostrino o diano sospetto di essere pericolose a sé o agli altri.L'obbligo si estende anche per le persone che risultano affette da cronica intossicazione prodotta da alcool o da sostanze stupefacenti.
Tale segnalazione permetteva all’Autorità di pubblica sicurezza di essere tempestivamente informata sulle persone pericolose, potendone disporre anche il ricovero obbligatorio nei luoghi di cura, verificando, nel contempo, se avessero la disponibilità di armi da fuoco.
Bisogna attendere il 1956, per registrare una svolta significativa sul controllo della vendita delle armi da fuoco e della sanità mentale degli acquirenti.
Infatti, il 10 ottobre del 1956, a Terrazzano, alle porte di Milano, due fratelli armati sequestrarono novantadue alunni e tre maestre della locale scuola elementare, chiedendo un riscatto di duecento milioni. Solo dopo diverse ore di trattativa, si riuscì ad entrare nell’edificio e convincere i sequestratori ad arrendersi.
Tale fatto criminoso scatenò l’indignazione nell’opinione pubblica, che si chiedeva come i due fratelli, conosciuti da tutti in paese come balordi, potessero essere in possesso di armi. Pertanto, per il legislatore del tempo non fu possibile esimersi da apportare modifiche alla libera acquisizione delle armi.
Infatti, fu emanato d’urgenza il D.L. n. 1274/1956, con il quale fu modificato l’articolo 35 del TULPS, stabilendo la possibilità di acquisto o cessione di armi, anche tra privati, solo a chi fosse in possesso di licenza di porto d’armi o nulla osta rilasciato dal Questore.
Altra novità interessante fu che, per la prima volta, si riconobbe la potestà del Questore di subordinare il rilascio del nulla osta alla presentazione di certificato del medico provinciale, o dell’ufficiale sanitario, o di un medico militare dal quale risulti che il richiedente non è affetto da malattie mentali oppure da vizi che ne diminuiscano, anche temporaneamente, la capacità di intendere e di volere.
Nel 1967, con la L. n. 799, che modificava il Testo unico per l’esercizio dell’attività venatoria, fu introdotto, per la prima volta, l’obbligo di richiedere il certificato medico di idoneità per il rilascio della prima concessione di licenza di caccia, nonché per la restituzione della licenza medesima in caso di ritiro o sospensione.
Nel 1975, con la rivisitazione della disciplina delle armi ed esplosivi, attraverso la L. n. 110, venne ampliata la possibilità, ma non l'obbligo, di richiedere il certificato medico ad altre licenze di polizia.
Nel 1977, con la nuova L. n. 968 sulla disciplina dell’attività venatoria, fu previsto l’obbligo di presentazione del certificato medico, anche per sostenere l’esame dell’ abilitazione all’esercizio venatorio.. Tale ampliamento riguardò anche il rinnovo della licenza di porto per uso caccia, prevedendo la presentazione di un nuovo certificato medico di idoneità di data non anteriore a due mesi dalla domanda stessa. La successiva L. n. 157/1992, in materia mantenne tale obbligo, estendendone a tre mesi la validità.
Nel 1978, venne fatta una ulteriore modifica, anche se solo implicita, dell’articolo 35 del TULPS, relativamente ai medici competenti al rilascio del certificato medico di idoneità per il nulla osta all’acquisto di armi. Infatti, con la riforma del sistema sanitario (L. n. 833/1978), i medici provinciali e gli ufficiali sanitari furono sostituiti dai medici dipendenti dalle nuove Unità sanitarie locali (USL), successivamente sostituiti dai medici dipendenti dal settore medico legale delle Aziende sanitarie locali (ASL).
Quindi, dal 1978, i medici incaricati di rilasciare il certificato di idoneità solo psichica, di cui all’articolo 35 del TULPS, erano quelli dipendenti dalle Unità sanitarie locali e i medici militari.
Sempre nel 1978, la L. n. 180 (Basaglia), che riformò radicalmente la normativa sui manicomi, disciplinando l’accertamento e trattamento dei soggetti sofferenti di malattie mentali, abrogò, implicitamente, l’articolo 153 del TULPS, relativo all’obbligo per i medici di segnalare le persone pericolose perché affette da malattie mentali.
La legge Basaglia stabilì anche che il trattamento sanitario obbligatorio (TSO) di persone pericolose per sé e per gli altri fosse disposto con provvedimento del Sindaco, Autorità sanitaria locale, anziché, come in precedenza, dall’Autorità di pubblica sicurezza.
Bisogna attendere il 1985 per registrare, per la prima volta, la preoccupazione dell’Europa nel constatare la mancanza di un normativa armonizzata nei singoli Stati membri, adeguata alle esigenze di tutela della sicurezza pubblica in materia di circolazione delle armi, in considerazione dell’apertura delle frontiere. Infatti, con l’Accordo di Schengen sulla soppressione dei controlli sulla circolazione delle persone e merci alle frontiere dei Paesi comunitari, venne stabilito che le parti si adopereranno per armonizzare le legislazioni e i regolamenti, in particolare sulle armi e sugli esplosivi.
Nel 1990, con la successiva Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen,fu stabilito che l’autorizzazione alla acquisizione e detenzione di un’arma da fuoco poteva essere rilasciata soltanto alla seguente condizione: "l’interessato non deve essere inabile ad acquisire o a detenere l’arma da fuoco a causa di malattie mentali o di qualsiasi altra incapacità mentale o fisica".
Nel 1993, con la L. n. 388, il nostro Paese ratificò l’Accordo di Schengen e la Convenzione di applicazione, recependo quanto stabilito dal legislatore europeo e cioè che le armi da fuoco dovevano essere acquisite e detenute solo da soggetti non affetti da malattie mentali o di qualsiasi altra incapacità mentale o fisica.
È da evidenziare che l’Italia, in merito al controllo della idoneità psichica per l’acquisizione e la detenzione delle armi da fuoco, disponeva già di esplicita normativa, stabilita dopo i fatti di Terrazzano, che avevano portato alla integrazione dell’articolo 35 del TULPS, anche se solo relativamente al controllo dei requisiti psichici per l’acquisto e non per le licenze di porto, con l’eccezione di quella di porto di fucile per uso venatorio; comunque, sempre in linea con le nuove disposizioni europee, riferendosi queste ultime alle sole autorizzazioni per l’acquisizione e la detenzione e non anche al porto di armi.
Nel 1987, nonostante il legislatore europeo si fosse preoccupato solo del controllo dell’acquisizione e della detenzione delle armi da fuoco, il nostro Paese, con la L. n. 89, stabilì anche che alla documentazione richiesta per ottenere la licenza del porto d’armi deve essere allegato apposito certificato di idoneità.
Con la stessa legge si stabiliva che il Ministero della Sanità fissa, entro un anno dalla date di entrata in vigore della presente legge, con proprio decreto, i criteri tecnici generali per l’accertamento dei requisiti psicofisici minimi per ottenere il certificato medico di idoneità per il porto delle armi, disposizione che, come vedremo, verrà attuata con diversi decreti, che, per la prima volta, dovevano certificare anche i requisiti fisici, oltre a quelli psichici, adeguandosi, così, a quanto previsto dal legislatore comunitario.
Mentre nel nostro Paese eravamo in attesa del citato decreto del Ministero della Sanità, il legislatore comunitario, con la Direttiva n. 477/CEE, del 1991, relativa al controllo dell’acquisto e della detenzione di armi da fuoco nei Paesi membri, stabilì che questi ultimi dovevano permettere l’acquisto e la detenzione solo a persone che non possono costituire un pericolo per se stesse, per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza.
Nel 1991, il Ministero della Sanità emanò il previsto decreto sulla Determinazione dei requisiti psicofisici per il rilascio del porto d’armi.
Con tale decreto, oltre ad elencare i requisiti psicofisici minimi, Il Ministro della Sanità individuò anche il medico che doveva rilasciare tale certificazione, stabilendo che l’accertamento è demandato all’Unità sanitaria locale di residenza del richiedente, con facoltà di consultare il medico di medicina generale e di richiedere eventuali consulenze specialistiche.
Come andremo ad esaminare, questo decreto, prima di stabilizzarsi con quello del 1998, ancora vigente, fu modificato ben tre volte.
Nel 1994, il Ministero della Sanità, con ulteriore decreto, riformulava ex novo quello iniziale del 1991. Infatti, quest’ultimo suddivise i requisiti minimi tra quelli previsti per il rilascio e rinnovo delle licenze di porto d’armi per uso di caccia e per lo sport del tiro a volo, comunemente conosciuto come porto d’armi sportivo, e quelli più rigorosi per l’autorizzazione al porto d’armi per difesa personale.
Se, nel 1991, l’accertamento dei requisiti per il rilascio del porto d’armi era demandato esclusivamente alla Unità sanitaria locale di residenza del richiedente, con il decreto del 1994, tale potestà certificativa venne ampliata, essendo stata riconosciuta, oltre che agli Uffici medico legali dei distretti sanitari delle Unità sanitarie locali, anche alle strutture sanitarie militari e della Polizia di Stato o dai singoli medici del ruolo professionale dei sanitari della Polizia di Stato o da medici militari in servizio permanente ed in attività di servizio.
Dunque, sulla scena della telenovela dei certificati medici di idoneità per le licenze di porto, appaiono, per la prima volta, come attori, anche i sanitari della Polizia di Stato.
Con il decreto del Ministro della Sanità del 1998, tuttora in vigore, finalmente si stabilizzarono i requisiti psicofisici minimi per le licenze di porto d’armi, nonché la potestà di certificazione delle varie categorie dei medici.
Infatti, la novità interessante riguardò i medici incaricati della potestà certificativa riconosciuta solo a quelli delle ASL e a quelli Militari e della Polizia di Stato, con la limitazione per questi ultimi che esercitassero l’attività certificativa solo nelle rispettive strutture sanitarie.
Nel 2003, si verificarono, quasi in contemporanea, due fatti di cronaca nera che suscitarono sconcerto nell’opinione pubblica, richiamando l’attenzione del Ministero dell’Interno sulla necessità di un maggior controllo nei confronti dei possessori di armi. Infatti, ad Aci Castello, un dipendente precario di quel Comune uccise, con le proprie armi, regolarmente detenute, il Sindaco ed altre quattro persone, prima di suicidarsi.
Pochi giorni dopo, a Milano, un altro legittimo detentore di armi, uccise a colpi di arma da fuoco la moglie ed una vicina di casa; successivamente, sparando dal balcone di casa sui passanti, ferì tre persone, prima di suicidarsi.
Le due stragi avevano un denominatore comune: ambedue gli squilibrati erano titolari di licenze di porto d’armi e legittimi detentori di armi.
Pertanto, il Ministero dell’Interno emanò una circolare con la quale, per la prima volta, oltre a richiamare l’attenzione degli uffici periferici sulla necessità della scrupolosa verifica dei requisiti personali dei richiedenti e specificamente di quelli psico-fisici, attestati dalla apposita certificazione medica, per il rilascio e rinnovo delle licenze di porto d’armi e per il nulla osta acquisto, fu disposta una revisione straordinaria delle licenze già rilasciate, chiedendo anche ai titolari di esibire una rinnovata certificazione sanitaria di idoneità psico-fisica al maneggio delle armi, estendendo tale controllo anche ai detentori di armi.
Nel 2007, Il Ministro dell’Interno presentò un disegno di legge allo scopo di contrastare il ripetersi di fatti di sangue commessi con abuso di armi, anche regolarmente detenute, per una revisione della normativa in materia di detenzione e porto d’armi, nonché di accertamento dei requisiti psicofisici dei soggetti detentori.
Tale iniziativa fu stimolata dalla strage di Guidonia, ove un tiratore scelto dell’Esercito in pensione, cominciò a sparare, dal balcone della propria abitazione, sui passanti, uccidendo due persone e ferendone sette.
Purtroppo, questo disegno di legge non vide mai la luce.
Abbiamo già evidenziato come il legislatore europeo, in considerazione dell’apertura delle frontiere, si fosse preoccupato di richiamare l’attenzione degli Stati membri sulla necessità che le armi fossero detenute da persone che non ne potessero fare abuso per deficienze psicofisiche, in particolare con la Direttiva n. 477, del 1991.
Tale richiamo fu ulteriormente ribadito e rafforzato con la Direttiva del 2008/51/CE. Infatti, con quest’ultima venne integrato l’articolo 5 della Direttiva del 1991, che già prevedeva l’acquisizione e la detenzione di armi da fuoco soltanto a persone che non possano costituire un pericolo per se stesse, per l’ordine pubblico o la pubblica sicurezza, inserendo in tale disposizione l’avverbio verosimilmente. Con quest’ultimo aggiornamento il legislatore europeo ritenne necessario che gli Stati membri rivedessero le rispettive normative, affinché l’acquisizione e la detenzione delle armi da fuoco fossero permesse solo a persone che con grande probabilità non potessero essere pericolose per sé e per gli altri.
Il nostro Paese non tardò ad adeguare la propria normativa sul controllo della idoneità psico-fisica per l’acquisizione e la detenzione delle armi da fuoco.
Infatti, nel 2010, con il decreto legislativo n. 204, furono introdotte importanti novità. La prima riguardò la sostituzione dell’articolo 35 del TULPS; venne stabilito che il Questore subordina il rilascio del nulla osta alla presentazione di certificato rilasciato dal settore medico legale delle Aziende sanitarie locali, o da un medico militare, della Polizia di Stato o dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco, dal quale risulti che il richiedente non è affetto da malattie mentali oppure da vizi che ne diminuiscono, anche temporaneamente, la capacità di intendere e di volere, ovvero non risulti assumere, anche occasionalmente, sostanze stupefacenti o psicotrope ovvero abusare di alcool, nonché dalla presentazione di ogni altra certificazione sanitaria prevista dalle disposizioni vigenti.
Pertanto, il Questore, da allora ed ancora oggi, prima del rilascio del nulla osta per l’acquisto di armi deve richiedere il certificato medico di idoneità, diversamente da quanto stabilito in precedenza, quando era lasciato alla discrezionalità del Questore che poteva subordinarne il rilascio alla presentazione del certificato.
Relativamente ai medici legittimati al rilascio del certificato medico per il nulla osta acquisto, si presentarono sulla scena due nuovi personaggi, cioè i medici della Polizia di Stato e quelli del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco, che andarono ad affiancare i già legittimati medici delle Aziende sanitarie locali e quelli militari.
Altre modifiche, introdotte dallo stesso D.L.vo 204, riguardarono anche il contenuto del certificato di idoneità per il nulla osta che, come in precedenza, continuava ad essere limitato alla sola idoneità psichica.
Infatti, venne aggiunto che il medico doveva certificare, oltre la piena capacità di intendere e di volere del richiedente, che quest’ultimo non risultasse assumere, anche occasionalmente, sostanze stupefacenti o psicotrope, ovvero abusi di alcool.
Altra innovazione in materia di prevenzione riguardò l’obbligo dell’interessato di comunicare ai conviventi maggiorenni, anche diversi dai familiari, compreso il convivente more uxorio i provvedimenti relativi all’acquisto di armi o licenze di porto d’armi. Quest’ultima disposizione non poté mai essere attuata, essendo demandata la sua regolamentazione al previsto nuovo Regolamento di esecuzione del TULPS, mai emanato.
Una ulteriore importante modifica/integrazione, riguardò anche l’articolo 38 del TULPS, relativo all’obbligo di denuncia della detenzione di armi. Infatti, venne aggiunto il quarto comma, con il quale si stabiliva che chiunque detiene armi, senza essere possessore di alcuna licenza di porto d’armi, deve presentare ogni sei anni la certificazione medica di cui all’articolo 35. La mancata presentazione del certificato medico autorizza il Prefetto a vietare la detenzione delle armi denunciate, ai sensi dell’articolo 39.
È da evidenziare che tale disposizione, finalizzata al controllo del mantenimento dei soli requisiti psichici da parte dei meri detentori, privi di licenze di porto d’armi, venne introdotta per la prima volta nella regolamentazione della materia.
Comunque, l’attuazione di tale obbligo fu sospesa, con lo stesso decreto legislativo, fino a dopo l’emanazione del decreto del Ministro della Salute, di concerto con quello dell’Interno, che avrebbe dovuto stabilire anche una specifica disciplina transitoria per coloro che già detengono armi. L’uso del condizionale è voluto, siccome tale decreto non ha mai visto la luce, sebbene dovesse essere emanato entro 180 giorni dall’entrata in vigore del decreto legislativo 204.
Tale decreto era importante perché, anche e soprattutto, avrebbe dovuto disciplinare le modalità di accertamento dei requisiti psicofisici per l’idoneità all’acquisizione, alla detenzione ed al conseguimento di qualunque licenza di porto delle armi, nonché al rilascio del nulla osta.
In pratica, il Ministero della Sanità era stato delegato a regolamentare ex novo la disciplina vigente sia per l’accertamento dei requisiti psichici per l’acquisto di armi, sia per quelli psicofisici previsti per il rilascio e rinnovo delle licenze di porto d’armi, rivisitando il decreto del 1998.
Come abbiamo in precedenza evidenziato, l’emanando decreto avrebbe dovuto regolamentare anche le modalità di accertamento per il controllo del mantenimento della idoneità psicofisica di coloro che già detenevano armi.
Ultima, ma non per questo meno importante novità, che avrebbe dovuto introdurre lo stesso decreto, riguardava la regolamentazione delle modalità dello scambio protetto dei dati informatizzati tra il servizio Sanitario nazionale e gli uffici delle Forze dell’ordine nei procedimenti finalizzati all’acquisizione, alla detenzione ed al conseguimento di qualunque licenza di porto delle armi.
Tale esigenza di interscambio di notizie, in particolare sulla possibilità dei medici di base di poter conoscere se il proprio assistito fosse in possesso di armi, era stata più volte evidenziata, soprattutto dopo l’abrogazione implicita dell’articolo 153 del TULPS.
È doveroso evidenziare che, ancora nel 2024, mentre stiamo scrivendo, il Ministero della Sanità non ha provveduto in merito dal 2011.
Nel 2013, con il decreto legislativo 121, Il Governo, preso atto che la prevista presentazione del certificato medico di idoneità da parte dei meri detentori di armi non aveva trovato attuazione, non essendo stato emanato il decreto del Ministero della Sanità che doveva stabilire le modalità di accertamento, ritenne opportuno disporre che entro 18 mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, i soggetti detentori di armi, nelle more dell’adozione del decreto del Ministro della salute di cui all’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo 26 ottobre 2010, devono produrre il certificato medico per il rilascio del nulla osta all’acquisto di armi comuni da fuoco previsto dall’art. 35 del T.U.L.P.S.. Comunque lo stesso decreto prevedeva anche che decorsi diciotto mesi è sempre possibile la presentazione del certificato medico nei 30 giorni successivi il ricevimento della diffida da parte dell’ufficio di pubblica sicurezza competente.
L’obbligo fu considerato una tantum, in attesa del decreto del Ministero della Salute e limitato ai soli detentori di armi da fuoco.
Nell’ottica di cercare di migliorare l’attività di prevenzione delle Forze di polizia per evitare l’abuso delle armi, con il decreto legislativo 121 fu integrato l’articolo 39 del TULPS, relativo alla facoltà del Prefetto di disporre il divieto di detenzione di armi alle persone ritenute capaci di abusarne, stabilendo che nei casi d’urgenza gli ufficiali e gli agenti di pubblica sicurezza provvedono all’immediato ritiro cautelare (delle armi, munizioni, materie esplodenti), dandone immediata comunicazione al Prefetto.
Nel 2017, il legislatore comunitario, tenuto conto di atti terroristici consumati in Europa ed invitato dalla Commissione europea a migliorare ulteriormente alcuni aspetti della direttiva 91/477/CEE, emanò la direttiva n.853. Quest’ultima, seconda modifica della direttiva del 1991, era finalizzata anche all’obbligo per gli Stati membri di dotarsi di un sistema di monitoraggio, onde garantire il rispetto delle condizioni relative all’autorizzazione delle armi da fuoco per tutta la sua durata, valutando anche la possibilità di includere o meno un esame medico o psicologico preventivo.
Nel contempo, per salvaguardare l’attività del medico certificatore, si raccomandava che la valutazione delle informazioni mediche e psicologiche non dovrebbe comportare la presunzione di alcuna responsabilità per i professionisti del settore medico. Tali considerazioni portarono a stabilire l’obbligo della valutazione delle informazioni mediche e psicologiche pertinenti attraverso un sistema di monitoraggio per tutta la durata dell’autorizzazione all’acquisizione e detenzione di armi, prevedendo anche che l’autorizzazione alla detenzione di un’arma da fuoco è riesaminata periodicamente, a intervalli non superiori a cinque anni, limitando la validità delle licenze di porto d’armi a cinque anni.
Nel 2018 fu attuata la direttiva n. 853, con il D.L.vo n. 104. Con quest’ultimo, il legislatore recepì le preoccupazioni di quello europeo, adeguandosi alla necessità di un più stringente controllo della idoneità psicofisica dei soggetti possessori di armi. Infatti, furono diminuiti i termini temporali della validità delle licenze di porto d’armi per uso di caccia e di tiro a volo, portandoli a scadenza quinquennale.
Inoltre, con la modifica dell’articolo 38 del TULPS, fu anche stabilito che il termine temporale relativo all’obbligo di presentazione del certificato medico di idoneità da parte dei meri detentori di armi, introdotto dal decreto legislativo 204 del 2010, dovesse essere ridotto a cinque anni.
Tale obbligo, tuttora in vigore, diventava strutturale e non più una tantum, come già previsto dal decreto n. 121 del 2013, anche se sempre in attesa delle disposizioni attuative che dovevano essere emanate con il decreto del Ministero della Sanità del D.L.vo n. 204 del 2010 (per approfondimenti, in questo sito, Vicari Ritardata consegna del certificato medico, 2024).
Con il D.L.vo n. 104, per la prima volta, furono individuati i meri detentori esclusi dall’obbligo di presentazione del certificato medico di idoneità psichica, cioè coloro che sono autorizzati dalla legge a portare armi senza licenza e dei collezionisti di armi antiche.
Il Ministero dell’Interno, autonomamente, ampliò la specie di armi escluse. Infatti, siccome il decreto legislativo contemplava l’obbligo per la detenzione delle sole armi comuni da sparo, ritenne di escludere anche le armi bianche.
Nessun riferimento, nemmeno nella circolare, in merito alla esclusione delle armi ad aria o gas compressi. Ciò nonostante si ritiene che questa specie possa rientrare nell’obbligo di presentazione del certificato, facendo riferimento il decreto legislativo 104 alle armi comuni da sparo. Infatti, nell’elenco di quest’ultime, di cui all’articolo 2 della legge 110, si richiamano anche le armi ad aria compressa o gas compressi, sia lunghe che corte, i cui proiettili erogano una energia cinetica superiore a 7,5 joule. Pertanto, l’obbligo del certificato medico non si applica solo nei confronti dei detentori di armi ad aria compressa di debole potenza, cioè con energia cinetica non superiore a 7,5 joule.
Per l’inottemperanza a tale obbligo venne riconfermata soltanto la potestà del Prefetto di vietare la detenzione di armi ai sensi dell’art. 39 del TULPS, senza ulteriori sanzioni amministrative e/o penali.
Con lo stesso decreto legislativo n. 104 venne rivolta particolare attenzione anche alla differenziazione dei certificati medici di idoneità.
Infatti, relativamente all’obbligo di presentazione del certificato ogni cinque anni da parte dei meri detentori, sempre in attesa della regolamentazione del decreto del Ministero della Sanità, previsto dal D.L.vo 204 del 2010, tale obbligo, tuttora vigente, veniva assolto con la presentazione di un certificato dal quale risultasse che il richiedente non è affetto da malattie mentali oppure da vizi che ne diminuiscano, anche temporaneamente, la capacità di intendere e di volere.
Relativamente alla individuazione dei medici certificatori, con lo stesso D.L.vo 104, venne confermato quanto già stabilito dall’articolo 35 del TULPS per il nulla osta acquisto di armi e cioè che potevano essere quelli del settore medico legale delle Aziende sanitarie locali, i medici Militari, della Polizia di Stato e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
Il D.L.vo 104 introdusse modifiche anche relativamente ai medici certificatori per il rilascio e rinnovo delle licenze di porto d’armi. Infatti, ferma restando la normativa sui requisiti psicofisici minimi previsti dal decreto del Ministro della Sanità del 1998, venne ampliata la potestà di certificazione, oltre ai medici già previsti dei distretti sanitari delle ASL e a quelli delle strutture sanitarie militari e della Polizia di Stato, anche ai singoli medici della Polizia di Stato, dei vigili del fuoco o da medici militari in servizio permanente ed in attività di servizio.
Nel 2021, purtroppo, come spesso accade nel nostro Paese, il legislatore si vide costretto ad intervenire d’urgenza sulla necessità di una maggiore attività di prevenzione per la detenzione di armi da fuoco, a seguito della strage consumata ad Ardea, dove furono uccisi, a colpi di arma da fuoco, senza alcuna motivazione, due minori ed un anziano, da parte di un ingegnere, già in cura con trattamento sanitario obbligatorio per problemi psichici. E non poteva essere altrimenti, considerata l’indignazione popolare: come poteva avere la disponibilità di un’arma da fuoco un soggetto già sottoposto a TSO e ben conosciuto dalle Forze dell’ordine per la sua irritabilità?
L’indignazione dell’opinione pubblica, dopo tale strage, fu così pressante che non si attese nemmeno la presentazione di un disegno di legge per modificare le disposizioni in materia di prevenzione sul possesso delle armi. Infatti, si colse l’occasione della discussione, per la conversione in legge, del D.L. n. 77 del 2021 sulla semplificazione, per far approvare anche l’inserimento di un emendamento urgente che dettava alcune disposizioni sull’obbligatorietà per i Sindaci di segnalare alle Forze di polizia l’adozione di misure o trattamenti sanitari obbligatori. Tale emendamento fu tempestivamente approvato, senza particolari difficoltà o resistenze da parte dei vari gruppi parlamentari.
Con l’articolo 39 quater della legge di conversione n. 108, relativo alle disposizioni in materia di comunicazione di trattamenti sanitari obbligatori all’autorità di pubblica sicurezza, è stato modificato l’articolo 6 del D.L.vo 204 de 2010, con l’inserimento del comma 2 bis. Con quest’ultimo è stata prevista una integrazione del previsto decreto del Ministro della Sanità, non ancora emanato dal 2011, nel quale devono essere inserite anche le modalità informatiche e telematiche con le quali il sindaco comunica agli uffici e comandi delle forze di polizia l’adozione di misure o trattamenti sanitari obbligatori.
Infatti, con lo stesso articolo 39 quater, è stato stabilito anche l’obbligo per il quale il sindaco, quale autorità sanitaria, comunica al prefetto i nominativi dei soggetti nei cui confronti ha adottato trattamenti sanitari obbligatori per patologie suscettibili di determinare il venir meno dei requisiti psicofisici per l’idoneità all’acquisizione e alla detenzione di armi, munizioni e materie esplodenti e al rilascio di qualsiasi licenza di porto d’armi, nonché al rilascio del nulla osta.
Il Prefetto, in base alla valutazione di tale segnalazione, può adottare le misure relative al divieto di detenzione di armi e munizioni.
E’ stata anche confermata la possibilità per l’ufficio o comando delle Forze di polizia di disporre il ritiro cautelare delle armi, munizioni e materie esplodenti ai sensi del medesimo art. 39, secondo comma (in merito ad alcune incongruenze e difficoltà interpretative del D.L. 77, si veda, in questo sito, Vicari Le norme intruse, 2024).
Che non sia facile, se non impossibile, prevedere, anche e soprattutto da parte dei medici, la possibilità che un soggetto possa, all’improvviso, abusare delle proprie armi, trasformandosi da normale cittadino in omicida/suicida, viene evidenziato da eminenti studiosi di psichiatria forense e psicologia giudiziaria.
Quindi, diventa difficile, se non impossibile, per il medico riconoscere i sintomi che portano a patologie depressive gravi, come il delirio da rovina, scatenandosi spesso in assenza di segni premonitori, per cui un individuo normale, che può essere lo stimato vicino della porta accanto, diventa, all’improvviso, omicida-suicida.
Tale difficoltà non viene certo mitigata dagli strumenti normativi messi a disposizione dei medici certificatori. Infatti, l’oramai obsoleto decreto del Ministero della Sanità del 1998, relativo ai requisiti psicofisici minimi per le licenze di porto d’armi, a dire degli esperti, presenta criticità.
A tale difficoltà si aggiunga la mancata, adeguata valorizzazione del certificato anamnestico, redatto, ancora, secondo lo schema previsto dal decreto del 1998, rilasciato dal medico di base, categoria che, invece di essere adeguatamente integrata e rivalutata dopo l’esperienza del Covid, sembra essere in via di estinzione, utilizzata solo come organo burocratico per prescrivere medicinali ed esami, senza più il tempo per colloquiare con i pazienti.
La dimostrazione della difficoltà di accertare e tenere sotto controllo, nel tempo, i requisiti di idoneità psichica di un individuo, a maggior ragione se in possesso di armi da fuoco, la possiamo riscontrare nel denunciato aumento dei suicidi negli uomini appartenenti alle Forze di polizia. Secondo i dati diffusi dall’Osservatorio dei suicidi in divisa nel 2022, il tasso risulta essere più che doppio rispetto alla media nazionale per i normali cittadini. Il dato è preoccupante e dimostrativo di tale difficoltà di accertamento, tenuto conto di quanto siano costantemente sotto controllo medico gli appartenenti alle Forze di polizia, rispetto al comune cittadino detentore di armi, al quale viene richiesta la presentazione del certificato medico di idoneità psichica solo ogni cinque anni.
Considerate le difficoltà che incontra il medico nella certificazione della sanità mentale di un individuo, non si può avere la presunzione di trovare soluzioni normative che possano azzerare il rischio dell’abuso delle armi da fuoco legalmente detenute. Nonostante ciò, non possiamo esimerci dalla ricerca di soluzioni che, tendenzialmente, possano essere in grado di prevenire e limitare al massimo le condotte violente messe in atto con armi da persone capaci di abusarne.
Quindi, tenuto conto dell’importanza del certificato anamnestico, sarebbe necessario disporre che quest’ultimo non debba essere formulato come una autocertificazione, controfirmata dal paziente e dal medico, ma, invece, debba essere solo ed esclusivamente redatto dal medico di base, che, in quanto tale, si presume debba essere a conoscenza delle condizioni psicofisiche del proprio assistito. Il medico di base non dovrebbe avallare, con semplice funzione notarile, le dichiarazioni dell’interessato, come avviene per il certificato della patente di guida, ma dovrebbe, invece, certificare la presenza, o meno, di eventuali patologie ostative al rilascio delle licenze in argomento, alla stregua dei medici pubblici incaricati della certificazione finale.
Comunque, il medico di base dovrebbe avere a disposizione adeguati supporti che gli permettano di esercitare al meglio la propria potestà certificativa.
Pertanto, sarebbe necessario che il medico di medicina generalepotesse utilizzareun protocollo clinico-diagnostico da seguire; che, quando l’assistito sia di nuova iscrizione, potesse avere a disposizione tutte le informazioni utili da parte del precedente medico, anche attraverso un collegamento telematico, per una più adeguata anamnesi (informazioni che dovrebbero essere acquisibili dal fascicolo elettronico); che potesse conoscere se un suo paziente detenga armi.
Inoltre, la possibilità, anche se non un vero e proprio dovere, ma una facoltà, di segnalare alle Forze di polizia gli assistiti in possesso di armi da fuoco ritenuti a rischio, con la piena discrezionalità dello stesso medico di base di stabilire la necessità di tale segnalazione, secondo scienza e coscienza; questa possibilità dovrebbe essere prevista da una specifica disposizione normativa, così permettendo di superare gli attuali divieti imposti dalla legge sulla privacy e dall’articolo 622 del codice penale, relativo alla rivelazione del segreto professionale.
Una tale rivalutazione della professionalità del medico di base, accompagnata da una rivisitazione della relativa normativa, permetterebbe di prevedere l’affidamento della potestà certificativa solo a quest’ultimo medico, almeno per l’accertamento della idoneità psichica quinquennale dei meri detentori, senza necessità dell’ulteriore intervento di quello della ASL.
Questa procedura semplificata, non dovrebbe prescindere dall’applicazione del principio della Direttiva n. 853 del 2017, secondo il quale la valutazione delle informazioni mediche o psicologiche non dovrebbe comportare la presunzione di alcuna responsabilità per i professionisti del settore medico, in caso di uso improprio delle armi da fuoco, sempreché dall’esame del paziente e/o della sua anamnesi, non siano stati considerati adeguatamente particolari e palesi elementi di criticità.
Se il medico, in particolare quello di medicina generale, ha un ruolo fondamentale nella prevenzione per l’abuso delle armi, il legislatore e le pubbliche Amministrazioni devono fornire gli strumenti per svolgere al meglio tale delicato compito, nonché quello delle Forze di polizia.
Alcune proposte migliorative che abbiamo prospettato potrebbero trovare la loro concreta realizzazione con l’emanazione del decreto del Ministero della Salute previsto dal decreto legislativo 204 de 2010, fermo dal 2011, nonché da una efficace interconnessione delle banche dati.
Considerati gli omicidi/sucidi, commessi con armi da fuoco legalmente detenute, che si verificano con preoccupante periodicità, non sembrano aver sortito particolari effetti positivi sulla prevenzione sia l’obbligo di presentare, ogni cinque anni, il certificato di idoneità da parte di chi detenga armi senza essere titolare di licenza di porto, sia l’obbligo, mai attuato, di comunicare ai familiari conviventi la legittimazione all’acquisto di un’arma da fuoco.
Certo è che: non possiamo più attendere la prossima strage per cercare di trovare normative tampone, finalizzate soltanto a tranquillizzare l’indignazione dell’opinione pubblica; non possiamo più aspettare, dal 2011, l’emanazione dell’ormai famoso decreto del Ministro della Salute, al quale continuiamo ancora a demandare nuove previsioni regolamentari (es. D.L. 77/2021); non possiamo più esimerci dal rivisitare l’intera materia della prevenzione nell’abuso delle armi senza una strategia a medio- lungo termine.
Firenze 9 marzo 2024 ANGELO VICARI
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